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Sulle orme del bilinguismo

Press review | La Nuova Sardegna | Thu, 9 March 2006
Sul libro «Ill´anni di la gherra» (Edes Editore)della Cherchi pubblichiamo uno stralcio dalla prefazione di Nicola Tanda.


di Nicola Tanda
Lina Cherchi Tidore ha dovuto aggiungere alle pagine del testo bilingue alcuni disegni, per riempire gli spazi tra il testo gallurese e quello italiano, mentre scriveva il racconto «Ill´anni di la gherra», «Negli anni della guerra»: la seconda guerra mondiale. Già Manzoni, nella lettera al Fauriel del 9 febbraio 1806, dunque molto prima dell´unità d´Italia, scriveva: «Per nostra sventura lo stato dell´Italia divisa in frammenti, la pigrizia e l´ignoranza quasi generale hanno posta tanta distanza tra la lingua parlata e la scritta, che questa può dirsi quasi lingua morta. Ed è perciò che gli scrittori che possono produrre gli effetti che eglino (mi intendo i buoni) si propongono, d´erudire cioè la moltitudine, di farla invaghire del bello e dell´utile, e di rendere questo modo di cose un po´ più come dovrebbono». Manzoni faceva cenno (e non era la prima volta) al problema della diglossia, della distanza linguistica tra lingua e dialetto: il vero problema della società post-unitaria. Si trattava, nel caso dell´Italia, di diglossia rispetto a un dialetto, non ad una lingua; mentre quella sarda è una lingua neolatina che, come quella italiana, ha i suoi dialetti, e tra questi il gallurese.
Si può comprendere come, specie per quel che riguarda la lingua letteraria catalizzante le emozioni del vissuto, la lingua materna eserciti una presa diretta che, come in Ill´anni di la gherra, stabilisce un patto col lettore; basato non su un codice linguistico altro (quello italiano), ma sul proprio codice (dialetto della lingua sarda). La semplicità di mezzi, di procedimenti formali del parlato e di modelli della narrazione orale testimonia l´efficacia di questa prosa, di volta in volta intrisa di singolare liricità che, quand´anche discorsiva, è sempre allusiva e metaforica.
Occorre anche riconoscere che la competenza letteraria deriva alla Tidore anche dall´esperienza delle precedenti prove letterarie in italiano. Tuttavia, la lingua materna risulta sempre più coerente con la realtà dell´ambiente e della storia, non dominata dalla retorica falsa ed astratta di qualsiasi ideologia; mai trasporta l´autore e il lettore fuori di sé stesso, fuori dal fascino magico e convincente del proprio universo antropologico; anzi lo avvita meglio alle sue radici, predisponendolo al rapporto con le esperienze comuni, mantenendolo distante dalla retorica dei rapporti di subalternità con altre realtà. Solo in gallurese Lina Cherchi Tidore era in grado di raccontare le vicende intime e quotidiane locali, con un linguaggio che proprio sugli accadimenti privati e storici ha plasmato l´educazione dell´io e l´approccio al sapere sulla vita e sul mondo: il macrocosmo nel microcosmo, la vita di una piccola comunità come quella di uno stazzo in relazione al mondo contiguo o lontano. La collana «I quaderni della memoria» dell´editore Edes intende infatti proporre ad un lettore individuato già dalla lingua materna, in una geografia che è al tempo stesso linguistica e letteraria, il vissuto della generazione di chi ricorda e racconta. Rinunzia, almeno in apparenza, a quella universalità astratta alla quale fa continuo riferimento l´educazione estetica scolastica, convocando il lettore sul terreno della propria storia personale, in un determinato spazio e tempo.
È sostanzialmente quel che Madame de Staël aveva preconizzato quando, per raggiungere meglio il lettore moderno, quello romantico (fino ad allora nutrito di opere di repertorio letterario classicheggiante), aveva scritto la celebre lettera «Sulla utilità delle traduzioni». Ora, questa collana agevola gli attraversamenti transnazionali di lingue e letterature minori mediante la traduzione in italiano (testo a fronte), ed è garanzia di autenticità: quella di un vissuto «appreso», per così dire, in una lingua che non è quella italiana, e restituito ad autore e lettori tramite una scrittura finalmente autentica, che introduce di fatto un livello più alto di letterarietà: «Ill´anni di la gherra - scrive l´autrice in terza di copertina - è un racconto che iniziai a scrivere in gallurese, anche per raccontare ai figli, ai quali non avevo insegnato la mia lingua, come pure non avevo potuto insegnare loro il logudorese del padre bonorvese. Desideravo far conoscere i luoghi e tempi che io avevo conosciuto quarant´anni prima ad Arzachena e a La Maddalena. Perché comprendessero le mie parole, riformulai il racconto in italiano, la sola lingua comune a me e a loro. Ma per esprimere i ricordi non era possibile una traduzione letterale. Vorrei si leggesse la traduzione insieme al testo in gallurese, per apprezzare la dolcezza della mia lingua della Gallura». Poiché autore e lettore condividono competenza letteraria ed enciclopedia del sapere; la possibilità di parlare nella propria lingua di se stessi, dell´esperienza della vita e del mondo. La Babele dei linguaggi in chiave positiva è la scommessa del nuovo millennio; un ulteriore passo verso il regno di Dio, cioè degli uomini di buona volontà che vogliono affermato un loro diritto fondamentale: quello della vera libertà di parola, ciascuno nella propria lingua. Poi viene il libero arbitrio.



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