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Lontana dalla corte di Barcellona...

Rassigna de imprenta | La Nuova Sardegna | Mar, 23 Santandria 2004
È in libreria da pochi giorni il primo romanzo della cagliaritana Rossana Copez, che attinge alla storia della Sardegna aragonese di fine XIV secolo per ridare vita a un personaggio femminile di sicuro fascino: «Si chiama Violante» rievoca il passaggio in Campidano della contessa catalana Violante, discendente di quei Carròz che furono tra i più agguerriti sostenitori dei sovrani d´Aragona. La vicenda storica di donna Violante, che ottenne il feudo di Quirra e governò sulla Sardegna sud-orientale strappata dai suoi avi ai Pisani, si consumò all´ombra della più celebre Eleonora d´Arborea, e non lasciò pressoché traccia, se non in alcune leggende popolari che danno per certa la presenza del suo fantasma nei dintorni del castello, nelle cui viscere pare che avesse nascosto un intestimabile tesoro. Il romanzo, ambientato nell´anno 1386, si concentra sul personaggio di Violante, lasciando sullo sfondo la figura di Eleonora, che non compare mai sulla scena del racconto, e tuttavia è continuamente evocata come grande antagonista. Una nave proveniente da Barcellona getta l´ancora nel porto di Cagliari. Un narratore cattura per noi colori, profumi, voci. E quello che all´inizio è solo un pittore di paesaggi si rivelerà essere il carico più prezioso di quella nave: una nobildonna aragonese di nome Violante. Donna Violante sbarca in terra di Sardegna in un settembre, oppressa nel corpo dai pizzi neri dell´abito di giovane vedova, e rassegnata nell´animo a compiere ciò che qualcun altro ha deciso per lei: prendere possesso del feudo di Quirra, nella regione sud-orientale dell´isola, appartenente da due generazioni ai Carròz. Suo nonno, il grande ammiraglio Berengario, ha dovuto lottare duramente per garantire la successione per linea femminile; ma ciò vale poco o nulla agli occhi di Violante, «schiva, come nessun´altra, di frivolezze e mondanità». Dopo una breve sosta nel castello di Cagliari, Violante viene accolta nel castello di San Michele da dove partirà per fermarsi definitivamente a Quirra. Ovunque vada, sarà ipocritamente adulata dai cortigiani aragonesi, che mal celano la loro diffidenza verso una donna divenuta feudataria per volontà del sovrano. Lontana dalla corte di Barcellona, dove godeva della stima e della protezione della regina Sibilla de Fortià, Violante sente crescere dentro di sé un forte senso di repulsione per i funzionari catalani che la attorniano, per la loro crudeltà e superbia, per il lusso sfarzoso degli abiti e degli arredamenti di cui si circondano, nonostante siano disgustosamente abbruttiti nelle sembianze e nello spirito, «con le loro pance, con le loro facce bavose, coi loro occhi bovini». La solitudine spinge la giovane a sfuggire sempre più la compagnia dei suoi pari per cercare invece quella dei sardi suoi sudditi, che la porterà a instaurare una misteriosa complicità col vecchio pescatore Pedru. E mentre gli alti funzionari pretendono una linea politica molto più dura, e i sardi attendono la prova decisiva che il tempo delle angherie e dei soprusi è davvero finito, Violante tradirà tutte le aspettative nel modo più incredibile. Se la protagonista è un personaggio realmente esistito, non si pensi, però, che ci si troverà di fronte a un romanzo biografico – troppo scarse sarebbero, comunque, le informazioni pervenuteci sul conto di Violante; e nemmeno ci si dovrà aspettare un romanzo storico di sapore documentaristico, che, inquadrando le vicende fittizie in una realtà politico-sociale che l´autore si assume il compito di divulgare, sarebbe tale da non contemplare grandi voli di fantasia. Siamo in presenza, piuttosto, del puro piacere di narrare, di un testo in cui il vero protagonista è il racconto in sé, e in cui l´attenzione ai dettagli, al rispetto delle date e dei personaggi storici è certamente minuziosa, ma non determinante. In un alternarsi di voci e punti di vista differenti, sul duplice piano del reale e dell´onirico, ci ritroviamo infatti partecipi di una giostra all´interno della quale fiabescamente si susseguono i racconti dei vari personaggi. Essi di solito vanno a richiamare alla memoria un passato abbastanza prossimo (come la storia dei Carròz, Berengario I e II, che nell´economia del testo funge da importante filo conduttore), ma non mancano le incursioni nel magico: è il caso del racconto del palafreniere coinvolto in un´inquietante danza coi morti – racconto dalla forte valenza profetica. Sulla vicenda, del resto, aleggia fin da subito la presenza del sovrannaturale, che ritroviamo nelle voci di uomini sospesi nel tempo, nelle visioni che perseguitano Violante, testimoniando la forza di un passato che ritorna con prepotenza, come se, non pago di venir raccontato da altri personaggi, si faccia personaggio egli stesso. Ogni voce, ogni storia aggiunge un diverso tassello, un indizio utile a ricomporre la figura di Violante. E poco importa se l´immagine che ne scaturisce potrà risultare confusa o incompleta, e venga a sfuggirci, così, la chiave dell´enigma, la scoperta della verità. Al contrario, ciò che prevale è l´impressione che sollevare del tutto il sipario della Storia, o sollevarlo solo in parte, non faccia alcuna differenza. Ed è forse questo uno degli aspetti di maggior fascino di «Si chiama Violante»: il fatto, cioè, che si tratti di un romanzo di verità taciute, di racconti incompiuti ed enigmatici. È una storia di cose, di persone svelate a poco a poco, e mai del tutto. Non a caso l´immagine del velo, avvolto a protezione del viso di Violante, accompagna tutta la vicenda, alimentando i desideri e la curiosità morbosa dei cortigiani verso colei che, dicono, «sia bellissima». Impossibile, tuttavia, sedurre col miraggio della gloria chi, come Violante, non ama il potere e ha per unica compagnia gradita il ricordo di un grande amore, che, interrompendosi all´improvviso, le ha insegnato il disprezzo per ogni vanità. Violante è perciò destinata a stravolgere i piani dei nobili aragonesi, a confondere i loro sensi e le loro menti, a rendere inutile ogni loro lusinga e ogni loro minaccia, vanificando la strategia politica impostale «come se qualcun altro avesse acchiappato i fili della storia, ci avesse giocato e li avesse lasciati lì, tutti ingarbugliati.» Ed è così che, fuori dai libri della Storia ufficiale, come in un gioco magico, si alimenta una leggenda di un fascino tale da mettere radici profonde nell´imagginario di chi legge, ed abitarvi per sempre.
Barbara Pasqualetto

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