L'opera
Ciascun libro viene dato alle stampe con degli auspici. Le case delle fate, l´incanto delle Domus de Janas, opera scritta con delicatezza, generosità e amore dal giornalista Tonino Oppes e corredata delle fotografie di Nicola Castangia, sprazzi di struggente bellezza, luce e meraviglia, merita di raggiungere un pubblico vasto e di conquistare un´attenzione privilegiata presso le giovani lettrici e i giovani lettori. Ha infatti da rivelare tesori straordinari, spesso sepolti dalla furia della comunicazione e dalle inconsistenti e sfilacciate relazioni che la società, protesa alla virtualità e al consumo, quotidianamente costruisce e alimenta. Il volume, prezioso sin dalla veste editoriale, custodisce e restituisce la forza antica e potente delle narrazioni popolari, quelle che allietavano le notti d´estate o contribuivano a scaldare, attorno ai focolari, le sere invernali. Accompagna, con la ricchezza delle parole e delle immagini, a rivedere le stelle e la luna. Ad avvertire come se fosse presente e viva la voce delle comunità che popolarono la Sardegna nella Preistoria, tra V e III millennio a.C., lasciando come eredità tangibile migliaia di grotticelle funerarie scavate nella roccia. Disseminate in tutta l´Isola, tra le coste e le zone più interne, opere mirabili di architettura e arte, sono state battezzate Domus de Janas, “case delle fate”, dalla tradizione successiva che, riappropriandosene, vi ha innestato elementi mitici e suggestivi. Fondato sul rigore della ricerca e sul rispetto degli studi degli archeologi (si vedano la nutrita bibliografia che chiude il testo e la trama di riferimenti che lo attraversa), il lavoro di Tonino Oppes e Nicola Castangia riconnette così con l´intimità della natura, decodifica i misteri consegnati dalla storia e trasmette alla responsabilità delle generazioni presenti e future il dovere di preservare la memoria del passato e di tutelarne le testimonianze. Partendo dal dato scientifico e dalla dettagliata restituzione per immagini, delega all´invenzione la facoltà di far parlare monumenti e reperti. L´espediente narrativo che caratterizza il libro è particolarmente efficace. La penna e la fantasia del giornalista di esperienza, scrittore che dalla storia sarda ha tratto materia per tanti dei suoi fortunati romanzi e racconti, danno corpo alla figura di Shardu. Ritorna con composta autorevolezza dalla Preistoria sarda, dove la sua vicenda si è svolta. Racconta di quel tempo in cui, insieme agli uomini e alle donne del villaggio, scavava la pietra con la pietra e decorava, con soluzioni e tecniche pittoriche di raffinata ricercatezza, la dimora per i defunti; del tutto simile alla capanna della quotidianità, era il luogo in cui celebrare i riti funebri e propiziare, affidandosi al dio Toro e alla dea Madre, il passaggio tra la vita e la morte e quindi l´approdo all´aldilà. Risorgendo dal lungo silenzio a cui la storia lo ha consegnato, come il Virgilio della Commedia dantesca, lo scalpellino-artista si fa guida nel viaggio attraverso i millenni. Il sapiente obiettivo del fotografo, devoto e votato alla divulgazione, ne esalta le parole.
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