The work
Da una parte la Napoli ottocentesca, impasto di riti del cibo e devozione ai santi, bordelli e tabernacoli; luogo ove tutto si incrocia: mare, malattia, camorra, sudiciume, leggi; grumo denso e insondabile; pulsare misterioso. Dall´altra lui, il piccolo conte gobbo, l´erudito, la mente più acuta del secolo. Incontro fatale e paradossale, occasione di un´ambigua partita tra festosità ignara della plebe e lucido argomentare del filosofo; intenta, l´una, a vivere la vita, l´altro a mostrare come essa danzi insensata sull´orlo di un fosso, di cui la luce ci oscura la vertigine. Sa di contrappasso spaventoso e sottile, questo Leopardi venuto a morire a Napoli. Lui, il filosofo disperato del nulla, fra gli adoratori del sole, nella città pagana e felice, specchiata nel mare. Strano incontro per davvero, e di cui a nessuno è dato sapere con certezza cos´abbia veramente prodotto. Disprezzo? Noia? Attrazione? Disgusto? Si lavora per indizi e deduzioni. Cose arrischiate. Lui ne parla poco e, quando lo fa, la contingenza polemica pare sin troppo scopertamente velargli l´intimo sentire. Non resta, allora, che stare al racconto altrui, ai famosi Sette anni di sodalizio con Giacomo leopardi di Ranieri; racconto partigiano, narcisistico, retorico, discusso e stradiscusso ma, a dispetto di tutto, unica fonte possibile di ogni serio discorso sul Leopardi napoletano. E sul punto Ranieri pare non avere dubbi, "Napoli l´attraeva come il sole attrae il pianeta"; confessiamolo, non c´è la prova, ma si è fortissimamente tentati di crederlo; dell´incanto ambiguo di posti come Napoli su menti tormentate e profonde, non mancano certo documenti. Pensate la Napoli di quel tempo, la capitale del Sud; un immenso labirintico termitaio al sole, brulicante di esseri che si levano ogni giorno a vivere una vita fatta di sola fisicità; cinquecentomila umani intenti a campare nelle maniere più fantasticamente varie una vita che non hanno chiesto -gli è stata data-, e cui si tengono abbarbicati, tenaci, ignari. Questo grandioso ingorgo di natura e storia, sedimento di umanità tra mare e monti, stratificazione caotica di una dozzina di concetti di città, disordine e intrico fatale, dove in pochi passi da lungomari piani e assolati, puoi ritrovarti dentro neri budelli murati, vertiginosi, periclitanti, risuonanti come voliere, zeppi di umani che reclamano senza pudore di vivere. Poteva, tutto ciò, non colpirlo? Passeggiava Leopardi, a Napoli, questo è certo; passeggiava tutte le volte che poteva; quando non era malato e non studiava, passeggiava; come non aveva mai fatto in passato in nessun altro luogo della sua vita; con quello sguardo divorante sulle cose che porta l´artista vero a perdersi nel suo oggetto. In questo senso, si può credere a Ranieri: lo affascinò quel materialismo vissuto e praticato, quell´ essere tanto beatamente incapaci di trovare nel quotidiano domande generali; quel vivere senza pensare. Chi, meglio di lui, adatto a stupirsene e a comprenderlo? Lui, che di sé aveva detto, "è il pensiero il mio carnefice" e, in un altro lontano giorno della sua vita, "Voglio piuttosto essere infelice che piccolo".
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