L'opera
"Invereconde Rime" è l´incipit chiaro e risoluto atto a descrivere l´universo esistenziale racchiuso nelle liriche di Giuseppe Piras; è il seguito di "I miei versi fragili" del 2004; gli argomenti sono quelli ineluttabili del trascorrere quotidiano: amore, stupore, gioia, vita, morte, vittoria e via discorrendo. Niente di nuovo sotto la volta stellare. I poeti sono una specie in via d´estinzione e bisognerebbe creare per loro una sorta di parco letterario come i parchi naturali per i panda e gli orsi. Il poeta mette a nudo la propria anima senza artifizio alcuno o ermetismi di comodo; si ostina a credere che la poesia sia malattia e nel contempo viatico per traversare questa valle di lacrime. Lasciamoglielo credere. Siamo grati ai poeti perché esponendo se stessi al ludibrio e alla gogna, espongono noi tutti, e nel leggere le loro "Invereconde Rime" o i loro "Versi fragili" ricompare quell´antico detto: "de te fabula narratur". Giuseppe Piras rimanda a Rebora e Turoldo, a un pizzico di Prévert; in fondo non manca il senso tragico della Deledda: " Siamo canne / e la sorte è il vento". Infine, per dirla con Menandro:" non viviamo come vogliamo, ma a malapena come possiamo". La versione in francese è di Hélène Eftimakis, che ha saputo rendere "Invereconde Rime" in maniera fluida ed elegante, ricca ed avvolgente, ricreando il senso, la sonorità, il ritmo, la melodia dei versi del Piras.
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