Il miele amaro dei coloniali.
Rassigna de imprenta | La Nuova Sardegna | Zoy, 20 Martzu 2003 Manlio Brigaglia , su La Nuova Sardegna, recensisce Debrà Libanòs di Luciano Marrocu "Debrà Libanòs", il romanzo ambientato nell´Etiopia occupata dall´esercito di Mussolini Il miele amaro dei "coloniali" Un "giallo" che prende spunto dalle stragi fasciste del 1937 Tornano il commissario Carruezzo e il suo assistente Luciano Serra, ancora alle prese con un omicidio di Manlio Brigaglia Addis Abeba, 19 febbraio 1937. Grande cerimonia per festeggiare la nascita del principe di Napoli (che sarebbe il Vittorio Emanuele di Savoia che aspetta ora di rientrare in Italia). D´improvviso una bomba a mano viene scagliata contro il viceré, il generale Rodolfo Graziani, che resta ferito gravemente. Si scatena una terribile repressione contro tutti i sospetti. La prima fase della caccia dura tre giorni: ad Addis Abeba e dintorni vengono bruciati centinaia di tucul, molti giovani vengono trucidati sul posto, alcune migliaia arrestati, centinaia processati in via sommaria e fucilati. Una carneficina. Secondo le fonti ufficiali italiane i morti sono circa 800, ma quelle inglesi arrivano a 30 mila. Cifra esagerata: Angelo Del Boca, che ha scritto una straordinaria storia della conquista italiana dell´Etiopia e delle vicende successive, la calcola in un paio di migliaia. Un episodio nel terribile episodio è quello di Debrà Libanòs, un monastero copto a qualche decina di chilometri dalla capitale. Qui sacerdoti e seminaristi, sospettati di simpatizzare per la guerriglia nazionalista, vengono sterminati: secondo i telegrammi dello stesso Graziani a Mussolini sono più di seicento. "Debrà Libanòs" è il (bellissimo) titolo che Luciano Marrocu ha scelto per il suo secondo romanzo, edito in questi giorni dalla Maestrale di Nuoro (160 pagine, 9 euro). Un "romanzo giallo storico", se è permessa la formula: un romanzo giallo perché del giallo classico ha lo schema (c´è un morto ammazzato e ci sono i poliziotti che indagano fino alla soluzione del mistero), un romanzo storico perché la vicenda di fantasia si svolge sullo sfondo di una serie di episodi realmente accaduti, a partire dall´attentato a Graziani e alla repressione. Ma con due eccezioni: la prima è che la repressione e l´eccidio di Debrà Libanòs diventano abbastanza presto marginali rispetto alla storia centrale, la seconda che l´assassino (non rivelo nulla) ha soltanto un poco a che fare con il contenzioso tra italiani conquistatori ed etiopici conquistati (alcuni dei quali, come telegrafa Graziani, muoiono davanti ai plotoni d´esecuzione gridando "Viva l´Etiopia indipendente"). In realtà il centro del libro è l´ambiente dei "coloniali" italiani che formano la crema della società di Addis Abeba: pezzi grossi del governo, capi della Milizia, ufficiali (alti e medi) dell´esercito, affaristi accorsi come mosche a rastrellare appalti nell´Impero. E accanto a loro le loro donne, che non sono soltanto belle e languorose bianche signore, oppure giovinette ribelli all´autorità paterna che sfrecciano sulle loro potenti cabriolet come le Signorine Grandi Firme di Boccasile, ma soprattutto le "madame" abissine avvolte nelle loro tuniche sgargianti che appaiono a fianco degli italianuzzi conquistatori (avere per amante una abissina, possibilmente di nascita aristocratica, fu a lungo un must per gli "insabbiati" italiani, ad onta delle leggi contro la "fraternizzazione" e il "madamato" e poi le mescolanze razziali emesse dal governo di Roma). La descrizione di questo ambiente, o meglio ancora l´aura di dolce seduzione sensuale con cui quest´ambiente s´accampa nel romanzo, è una delle attrattive del libro di Marrocu: che evidentemente deve aver visto (da bambino? Ma c´è qualche problema con l´anagrafe) le spettacolose foto delle fanciulle etiopi ritratte come mamma le aveva fatte che ogni buon conquistatore riportava con sé dall´avventura africana. Le più ambite erano le migiurtine, che però venivano dalla Somalia: e che anche Marrocu ricorda, sia pure di passaggio. Del resto, come cantavamo andando a riportare l´Impero sui colli fatali di Roma? "Faccetta nera, bell´abissina". Appunto. I poliziotti del giallo sono la coppia Eupremio Carruezzo-Luciano Serra. Carruezzo è il vecchio e saggio commissario, una specie di imperturbabile Buddha uscito pari pari dall´album di famiglia dell´alta burocrazia giolittiana (e poco importa se sia invece della misteriosa polizia segreta fascista, le cui vene del resto furono tutte insanguate dagli eredi dell´amministrazione dell´Italia liberale). Luciano Serra è il suo giovane apprendista, l´uomo che va sul campo, un braccio ma non solo un braccio, anche se la mente resta l´imperturbabile Carruezzo. Luciano Serra ha il nome e il cognome dell´eroe cinematografico cui la propaganda fascista legò la memoria italiana all´impresa d´Abissinia: Marrocu lo ha adottato di proposito, già dal romanzo precedente, "Fàulas", prendendosi il gusto, qui e altrove, di dare ai suoi personaggi di fantasia nome e cognome di gente vera. Carruezzo è stato un giocatore del Cagliari, e Roberto Muzzi si chiama uno dei protagonisti di questo secondo giallo. L´altro protagonista è, naturalmente, il morto: un Bellassai, metà gigolò e metà squadrista in ritardo, per indagare sulla cui morte Carruezzo e Serra vengono "sbattuti" ad Addis Abeba. Col rischio, soprattutto per l´appassionato Luciano Serra, di buttarsi a capofitto nel miele della vita coloniale e restarci invischiato anche lui come tanti altri italiani del tempo. Luciano Marrocu non è uno scrittore della domenica neppure come scrittore di romanzi. Ma la sua professione quotidiana è quella di storico. Si capisce dunque perché la ricostruzione di quel mondo coloniale e insieme così precario (il Negus sarebbe tornato trionfatore il 5 maggio 1941, cinque anni esatti dopo essere fuggito da Addis Abeba) lo abbia intrigato più delle psicologie dei personaggi e, da un certo punto in poi, più della stessa trama. Ma la macchina funziona, e il libro si legge - come si dice - tutto d´un fiato. Per terminare con una citazione di Del Boca: i due attentatori di Graziani non furono mai scoperti. E se fosse accaduto il Maresciallo sarebbe rimasto sorpreso di sapere che non erano due etiopi ma due eritrei. Manlio Brigaglia
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