Una limba comune fuori dagli equivoci
Rassegna stampa | La Nuova Sardegna | Mar, 7 Agosto 2007 In anni e anni di lettura di testi inediti dei premi di letteratura sarda, ho appreso molto. Moltissimo da Predu Mura, da Benvenuto Lobina e da Antoninu Mura Ena, dei quali ho curato le edizioni a stampa. Dai loro saperi sulla vita, una vera scuola di pensiero poetante. La filosofia idealistica non facilitava in Italia la circolazione di quella poesia come delle importanti correnti del pensiero occidentale. Sottovalutata la teoria degli insiemi e la linguistica generale di de Saussure, introdotta, solo nel 1968, dalla traduzione di Tullio De Mauro. Eppure alcuni concetti erano filtrati da noi grazie ad Antonio Sanna che nel 1961 aveva assunto la guida del Premio Ozieri. Da lui i poeti sono stati incoraggiati a scrivere nelle loro parlate e a confrontarsi con la lingua poetica contemporanea, italiana ed europea. Così ha fatto Pedru Mura inaugurando un´odissea de rimas nobas. I consigli di Antonio Sanna, inoltre, a me sono stati utili nel delineare, insieme a Giuseppe Dessì, la struttura di «Narratori di Sardegna». Non era ammissibile che prima della narrativa in italiano di Farina e Deledda, ci fosse un vuoto letterario di secoli. L´equilibrio venne ristabilito con un´Appendice di testi poetici in sardo. Nell´introduzione si poneva il problema del bilinguismo e quindi del canone bilingue della letteratura in Sardegna. I sardi venivano liberati dalla colpa di essere poeti e a scrivere opere teatrali, narrative e saggistiche. I poeti avevano impiegato in genere, sino ad allora, un logudorese letterario illustre, il cui repertorio proveniva dall´Arcadia di Pisurzi, Cubeddu, Pes e poi di Mossa, Mereu e Montanaru. L´idealismo estetico non gradiva però quel repertorio mitologico, nutrito di sapere classico e antropologico. Tuttavia quei poeti e scrittori dei premi hanno riavviato il sistema letterario sardo e costruito un consenso che ha superato gli ostracismi della destra e degli intellettuali della sinistra. Ormai numerosi partecipavano con entusiasmo al Premio fondato da Tonino Ledda e agli altri che intanto avevano proliferato. Suscitavano una poesia nuova e intercettavano un nuovo pubblico di lettori motivati e agguerriti. Ogni parlata che aveva così acquisito la dignità di lingua, si adeguava alle esigenze sempre più complesse di comunicazione che aveva bisogno non solo delle lingue naturali, ma anche di linguaggi artificiali. Malgrado l´ostilità della classe dirigente culturalmente egemone è stata tuttavia realizzata una vera e propria riforma culturale e letteraria. Ed ecco che, di recente, i giornali increduli hanno dovuto registrare i dati sorprendenti dell´inchiesta sociolinguistica promossa dalla Regione. Il senso prorompente di liberazione generale ha suggerito titoli ad effetto: «Parlare in sardo è un vanto». Finalmente esplodeva un orgoglio che non proviene certo dalle prese di posizione sulla limba degli eterni favorevoli e contrari, ma dai ´creativi´, dai poeti, scrittori, artisti, cineasti, musicisti, cantanti e autori di testi musicali, tradizionali e moderni. Da quanti hanno riscoperto questo enorme patrimonio artistico. Quali riferimenti a questo processo storico troviamo invece nelle argomentazioni dei pianificatori della Lingua sarda comune? Davvero pochi. La giuria del Premio Ozieri, dopo un acceso dibattito, aveva concordato, con esperti e poeti, poche e semplici norme ortografiche che hanno consentito, a chi voleva, di scrivere in tutte le parlate. Fortunatamente quasi tutte queste norme si ritrovano fra quelle prodotte dalla Commissione regionale e approvate. Condividevo con Antonio Sanna l´urgenza di consegnare agli insegnanti i testi letterari didatticamente utili per insegnare la lingua, ma anche per arginare gli abbandoni scolastici causati dalla diglossia. E la conoscenza finalmente avrebbe potuto muovere ´dalla soglia di casa´. Oggi, La poesia in dialetto (Meridiani Mondatori 1999) di Franco Brevini, ha potuto includere, insieme ai poeti delle altre regioni italiane, quelli sardi dal Cinquecento alla fine del Novecento, riconoscendo però l´autonomia del sistema letterario sardo rispetto a quello italiano. Una recente rassegna di autori dialettali in una collana della Utet si conclude con Antoninu Mura Ena e Andrea Camilleri. Il Centro di studi filologici sardi ha prodotto edizioni critiche di testi in lingua sarda, latina, castigliana e italiana che confermano lo statuto plurilingue del sistema letterario sardo. La ´Biblioteca di Babele´ e i ´Quaderni della memoria´ della Edes e quella degli ´Scrittori sardi contemporanei´ di Delfino hanno pubblicato, testo a fronte, opere letterarie nelle varietà del sardo e in italiano. Insieme altre collane (Della Torre, Condaghes, Domus de janas, Ilisso, Maestrale...), seppure con orientamenti editoriali diversi, hanno contribuito a far circolare una fiorente letteratura in sardo e in italiano. Ma nei lavori della commissione non c´è cenno di questi contributi. Non si parla di una nuova filologia che, nel quadro della letteratura degli italiani, si propone di costruire, su basi scientifiche, l´identità culturale del popolo sardo. Sovrabbondano invece, nella relazione, esercitazioni di fonetica sulla lingua parlata, come se in Sardegna mancasse una tradizione scritta. Eppure questa è attestata prima ancora di altri volgari. Probabilmente i risultati dell´inchiesta sono stati una sorpresa anche per molti componenti della Commissione per la L.S.C. La quale tuttavia ha messo un punto fermo su una questione annosa e controversa: la norma è, meno male, una sola e deve rappresentare tutte le parlate sarde. Inoltre il progetto è sperimentale e quindi suscettibile di correzioni (in camminu s´acconzat barriu). Il mio parere perciò, pur con qualche riserva, è e rimane favorevole. Nella sostanza si è glissato sulla distinzione essenziale che distingue lingua parlata e lingua scritta. La quale ha un codice basato su grafemi che non possono esprimere la ricchezza e la vivacità della lingua parlata. Inoltre se ogni sistema linguistico produce un sistema letterario come mai questo nonò stato preso in considerazione? La funzione poetica della lingua non produce forse la forma più alta e nobile di comunicazione verbale? La lingua è in movimento perenne sia sull´asse del lessico che della sintassi e quindi dello stile. I procedimenti retorici si impiegano tanto nella quotidianità che nell´ufficialità. Mi piacerebbe che la lingua comune, che intende rappresentare ufficialmente tutte le parlate, fosse semplice ed elegante, modellata su scelte letterarie. Anche quando presenta, sia pure in un´etichetta, le caratteristiche di un vino o di un qualsiasi prodotto di nicchia. Occorre procedere con molto giudizio. Si tratta di processi lunghi e sperimentali che devono maturare nelle coscienze degli individui. L´efficacia modellizzante delle scelte linguistiche e letterarie sarà indispensabile per migliorare l´uso scritto della lingua comune alla quale non gioverebbe una didattica da Berlitz School. Come si può insegnare prescindendo dai testi letterari? Dalle tradizioni comunicative complesse di scrittura, oralità e canto come quelle religiose? Il prestigio dell´ attuale letteratura in lingua sarda, sebbene poco conosciuto qui al grosso pubblico, è ben noto invece alle minoranze linguistiche europee. Siamo stati accolti nel 1997 nel Pen club internazionale come Sardinia Pen club (Sotziu de sos iscrittores sardos). L´interfaccia con gli altri popoli europei è necessaria, perciò dobbiamo considerare anche le loro attese nei nostri confronti. La limba non riguarda più solo i Sardi. Il corretto uso dei grafemi è indispensabile sempre ma lo è soprattutto nel sistema informatico del commercio. Sarà questa lingua comune a garantire l´identificabilità di ogni prodotto made in Sardinia. Oltre che sul sistema culturale e simbolico dei diversi linguaggi, si dovrebbe moltiplicare la ricerca sui linguaggi del paesaggio e dell´architettura. Il consenso alla lingua sarda comune dipenderà dalla sua efficacia modellizzante, cioè dalla seduzione: convincere nel commercio ed essere persuasiva nella carta stampata e nei telegiornali. Uscire dall´equivoco di coloro che, come dice Dante, "lo volgare altrui commendano e lo loro proprio dispregiano". Dovrà, insomma, compiere nel tempo lo stesso percorso dell´italiano comune. E le tappe saranno segnate da coloro che la sapranno impiegare nell´uso scritto ufficiale mirando alla qualità letteraria. Non dimenticando il "plane et latine loqui". Cioè il parlare e scrivere chiaro, come in latino. (Nicola Tanda)
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