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La lunga alba nuragica e i primi sardi

Rassigna de imprenta | La Nuova Sardegna | Sap, 15 Abrile 2006
Il libro di Giovanni Ugas, «L´alba dei nuraghi», pubblicato con bella e accurata edizione da «Fabula», è una novità importante nel contradditorio quadro pubblicistico dell´archeologia della Sardegna. Giovanni Ugas, allievo di Lilliu e docente di Preistoria e Protostoria nell´ateneo cagliaritano, ha al suo attivo numerose, importanti ricerche. Tra gli scavi, l´eccezionale Nuraghe Riu Mulinu di Villanovafranca e la tomba dei guerrieri di Decimoputzu. Tra le sue letture più discusse, la storia degli Shardana, con la supposta individuazione di strutture a tholos a essi attribuibili in terra d´Israele.
Alba dei nuraghi è termine che evoca il problematico inizio di una straordinaria civiltà che attraversa preistoria e protostoria per quasi un millennio, o forse molto di più a considerare resistenzialità e persistenze (che durano, secondo alcuni, quasi fino a noi). E´ un libro destinato a far discutere e che parte dal versante di una formazione scientifica, irrinunciabile anche nella costruzione - diretta o mediata - dell´immagine data ai consumatori che «acquistano» tempo libero di Sardegna.
Il libro è molto archeologico, ovvero si attiene strettamente ai complessi termini della questione dando una documentazione accurata proveniente dal campo. I temi si precisano e concentrano su quell´età del Bronzo dove troviamo le premesse del nuragico, dopo una ricognizione sulle fasi neo-eneolitiche e di possibili influenze occidentali. Si pensi alle genti portatrici del «vaso campaniforme» - il «popolo delle ciotole» citato in un´altra alba editoriale, «L´alba della civiltà europea» del grande Gordon Childe - presenti nell´isola negli ultimi secoli del terzo millennio avanti Cristo.

Un documentatissimo quadro, con un ampio e prezioso terreno concesso alle datazioni radiometriche. Quadro che si rapporta ai modelli architettonici sardi e mediterranei, dall´occidente iberico e insulare - Baleari, Corsica, Sicilia - all´oriente egeo, anatolico e di fascia siro-palestinese. Sino all´Egitto dei Faraoni e alla controversa vicenda degli Sherden o Shardana, individuati da Ugas persino nelle raffigurazioni pittoriche dei «Keftiu» portatori di lingotti ox-hide (a pelle di bue), personaggi tradizionalmente letti come minoici o micenei, qua proposti come «pellerossa» nuragici (per via della definizione cromatica, non considerata come tecnica e modalità pittorica).
La vicenda degli Shardana continua a far discutere scientificamente e a muovere passioni identitarie. Poiché il passato antico e glorioso, magari un po´ guerriero e pirata, ben si attaglia ad alcune necessità oppositive della contemporaneità, prescindendo da un´analisi serena di quanto possa costituire modello convincente qualcuno diventato guardia scelta - ovvero lacchè - di uno o più faraoni.
In ogni caso l´ipotesi che si tratti di sardi appare tutt´altro che infondata. Dalle fonti che conosciamo sembra che in Egitto (lo ricorda il papiro Wilbour, attorno al 1142-1441) fossero coltivatori più o meno agiati, grazie a terre concesse per «merito militare».
Ampio lo spazio dedicato alle fonti e ai personaggi che sembrano comporre una saga nuragica di difficilissima e tuttora non definita lettura, composta da Sardo, Iolao, Aristeo, Norax; da popoli che definiscono una sorta di prodigiosa multiculturalità mediterranea, come Balari, Corsi, Iliensi e altri ancora, da etnie legate alle terre pirenaiche e ai versanti vicino-orientali.

Numerosi anche gli spunti e i temi linguistici. I sardi nuragici conobbero la scrittura? Aver visto un numero francamente elevato di bufale non deve far escludere che - se il sistema scrittorio organizzato non era necessario per una società non palatina e non urbana - alcune élites non ne fossero a conoscenza quanto meno per necessità internazionali, ed avere almeno qualche confidenza con i sistemi lineari di Creta e Micene.
L´alba nuragica appare in continuità, piuttosto che in cesura, con le precedenti tradizioni preistoriche, delle quali raccoglie umori tradizionali rideterminandoli a livello di monumentalità e ricostruendo complessi ideali e mitologici. Si intuiscono nelle architetture e nei luoghi ad esse relative tradizioni religiose e antropologiche che non sempre è facile sistemare lungo il corso della storia e delle sue sequenze. Ugas da questo punto di vista compie un profondo, dovuto e anche coraggioso tentativo di sistemazione - forse in alcuni casi troppo puntuale - materiali noti dalle fonti e da alcune persistenze che si annidano nella (ormai esausta, ahimè) cultura orale.
Colpisce, ad esempio, la proposta di riconoscere nello spazio definito dal recinto-torre del complesso eneolitico di Monte Baranta (di cui è appena uscita la monografia curata da Alberto Moravetti, edita da Carlo Delfino) il luogo dove veniva effettuato in età nuragica quel «sacrificio degli anziani» ultrasettantenni ricordato da Timeo, sempre che esso sia da attribuire davvero a età nuragica.

Ma se l´archeologia è luogo di interpretazioni spesso controverse, la prudenza - in attesa di certezze a volte impossibili - non le rende sempre giustizia. Ed è perciò davvero pregevole il tentativo di ragionare in termini di sistema e struttura complessiva su una realtà così complessa, spesso rappresentata solo «amministrativamente» da un´archeologia non di rado più formale che sostanziale.
Il libro di Ugas è spinto con forza a risolvere i tanti interrogativi connessi all´eccezionale tessuto monumentale e sociale del nuragico, in parte generati da una ricerca quantitativamente inadeguata rispetto alle esigenze (onerose, visto la presenza di circa diecimila monumenti!!). E pone a sua volta moltissimi quesiti e altrettanti interrogativi, partendo da una documentazione rigorosa e ben ancorata, per quanto concerne i dati archeologici, alle risultanze e alle indagini proprie della ricerca scientifica.
La civiltà nuragica, sin dalla sua alba, appare fortemente in relazione al Mediterraneo: la storia, così tipicamente connessa a terra e pietra, ci appare per la verità profondamente marina e marittima, e non si può cogliere al fondo questa millenaria vicenda culturale senza le navi dalle prore e dagli alberi fantasiosi, senza Maiorca e Minorca, senza le torri corse. Senza Creta e Talos, Micenei, Filistei, senza gli Shardana che combatterono per gli Ittiti e contro gli Ittiti, timore dell´Egitto e infine guardie scelte del faraone e poi stabiliti attorno al 1100 avanti Cristo, come vuole l´Onomastikon di Amenope, vicino alle città palestinesi di Gaza, Ascalona e Ashdod.
Il lavoro di Gianni Ugas si annuncia come il primo di una trilogia dedicata alla civiltà dei nuraghi e dei nuragici. Molte discussioni si apriranno, e quella dei rapporti fra protonuraghi e nuraghi evoluti, lungo la vicenda delle diverse scansioni della «cultura di Bonnanaro» (dal luogo che diede per la prima volta un nucleo significativo e caratterizzante di ceramiche dell´età del Bronzo nella domus de janas di Corona Moltana), appare davvero decisiva.
In questo crocevia fra sviluppi autoctoni, provenienze occidentali e «fermenti» egei, in particolare cretesi, si gioca ancora l´interpretazione dell´alba nuragica, di un «mistero» che, nella sua continuità stratigrafica scientifica, sembra non avere bisogno di tramonti alluvionali.

Marcello Madau

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