The work
Meno di un ventennio dalla fine della guerra. La Sardegna vive le contraddizioni tipiche della fine di un conflitto immane: da un lato la smania di riprendersi la vita rimasta a lungo sospesa, dall´altro un´economia, tutta basata sulla pastorizia e l´agricoltura, che non offre sbocchi e stipa di emigranti i treni diretti al nord del Paese o all´estero. In un contesto di perdurante stagnazione economica e di una tradizione tetragona ad ogni mutamento sociale s´inserisce quello che è passato alla storia come il "Giallo di Borore". In una notte di luglio del 1961 si consuma il delitto efferato di una donna. Le coscienze ne sono gravemente turbate. Non è il classico omicidio consumato tra gli anfratti delle campagne. È un omicidio maturato nel mondo della piccola borghesia. Del delitto viene subito accusato il marito della vittima e poi, a seguire, l´amante, il padre del supposto uxoricida e un cugino di questi nelle vesti di killer. La vicenda occupa le prime pagine dei giornali, il processo che ne segue è vissuto con un interesse senza precedenti. I nomi dei protagonisti sono sulla bocca di tutti: il ragionier Francesco Lutzu, suo padre il colonnello Antonio Lutzu, la bellissima Margherita Sequi, la maestrina di Grani, accusata di aver partecipato attivamente all´omicidio, Costantino Putzolu, l´uomo di campagna accusato di tentato omicidio e di aver svolto un ruolo di raccordo tra i mandanti e gli assassini della donna: la povera Domenicangela Atzas. Ai tempi del delitto la stragrande maggioranza degli isolani propendeva per la tesi colpevolista. La Corte d´Assise di Cagliari si pronunciò nello stesso senso. Una lettura a distanza delle carte del processo e delle requisitorie dei difensori fanno sorgere non pochi dubbi...
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