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Sergio Atzeni, una Sardegna in forma di favola

Press review | L´Unione Sarda | Mon, 11 November 2002
Un libro di fiabe scritto con Rossana Copez e pubblicato dalla Condaghes.

Quando Italo Calvino consegnò a Giulio Einaudi la sua raccolta di Fiabe Italiane, pubblicate nel 1956 dopo due anni di ricerca vissuti con tale intensità da rendere ogni fatto ed ogni logica - l´intero mondo intorno a me - suscettibili di interpretazione e risoluzione in soli termini di metamorfosi e incantesimo, si trovò in qualche modo costretto a mettere le mani avanti per parare i colpi di quelle che considerava probabilissime obiezioni al suo lavoro.

Tra le quali, come poi gli fu puntualmente rilevata, quella di aver ´riscritto´ e in qualche caso profondamente rielaborato le diverse fiabe regionali. Tipizzandole per la prima volta in un´unica forma letteraria nazionale, e privandole, per assoluta forza di cose (e questo Calvino ribadiva), di alcune peculiarità ´climatiche´ proprie delle differenti latitudini vernacolari.

È a questo episodio - che nelle sue dinamiche, dai Grimm in poi, ha sempre accompagnato la ricerca e la riproposizione dell´alchemico fiabesco in termini unitari e nazionali - che ci si può in qualche modo rifare nella lettura di un agile volumetto pubblicato dalla Casa Editrice Condaghes, nella collana Il Trenino Verde curata da Giovanni Manca.

Le Fiabe Sarde (pp. 155, Lire 12.800) ´raccontate´ da Sergio Atzeni e Rossana Copez, già apparse nel 1978 in un´edizione ormai introvabile, si avvalgono oggi di una nuova introduzione di Giacomo Mameli e conservano l´originale prefazione di Albino Bernardini. Un atto doppiamente dovuto, quest´ultimo, visto che il volume è dedicato soprattutto ai lettori più giovani.

Sergio Atzeni (di cui qua e là si colgono timidi abbozzi di stilemi a venire e già inconfondibili points of view sulle cose del mondo), e Rossana Copez, si sono basati nel loro lavoro soprattutto sul materiale raccolto nei primi anni del secolo dal glottologo Gino Bottiglioni. Cioè su una ricerca ancora insuperata dal punto di vista del rigore antropologico, e su testi trascritti dalle vive voci di pastori e contadini.

Si trattava quindi di rendere queste voci, fattesi ormai mute per sopravvenuta ed eccessiva alterità di tempi e linguaggi, nuovamente accessibili. E di trasformare nel contempo il magro fabulare asciutto e triste che caratterizza sia la raccolta del Bottiglione che, a detta dello stesso Calvino, l´intera produzione favolistica sarda.

Una ´trasformazione´ (quale migliore e più appropriato termine per lo specifico fiabesco che nel suo eterno divenire conserva immacolato il proprio codice genetico?) poi sicuramente ben riuscita.

(Alberto Melis)

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