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L´eccezionale viaggio di Maurice Le Lannou tra i segreti dell´ isola

Press review | La Nuova Sardegna | Sat, 16 December 2006
Quando venne la prima volta in Sardegna, Maurice Le Lannou aveva venticinque anni. S´era sposato da poco, si portò appresso la sposina per quella che doveva essere una lunga esplorazione dell´isola, un mese qua un mese là sino al 1937. Avrebbe scritto il suo capolavoro, «Patres et paysans de la Sardaigne», pubblicato nel 1941 a Tours in una tipografia che di lì a poco sarebbe stata distrutta dai bombardamenti: nel rogo finirono gli zinchi di tutte le foto che Le Lannou aveva fatto in Sardegna con la sua piccola macchina fotografica e di tutte le cartine che aveva disegnato di sua mano.
Per lungo tempo il libro circolò nella sola edizione francese. Soltanto nel 1971 il libraio Cocco di Cagliari ne fece un´anastatica per la sua casa editrice La Zattera (dunque, naturalmente, in francese anche quella): tanto, si diceva, il francese lo capiscono tutti. La realtà era leggermente diversa, tanto che quando nel 1979 finalmente il professore accettò di lasciarlo tradurre in italiano, fidandosi più che della mia conoscenza del francese della nostra amicizia, il «Pastori e contadini della Sardegna» edito dalle Edizioni Della Torre di Salvatore Fozzi andò rapidamente esaurito e se ne fecero presto altre due edizioni.
La quarta esce ora, nella nuova collana di Della Torre intitolata «Tutti i libri della Sardegna», di cui sono già usciti i primi quattro titoli, e il quinto è già in tipografia. Ma torniamo a quel 1931. Le Lannou, appena laureato, voleva fare quella tesi di «troisième cicle» che in Francia apre le porte alla carriera universitaria. Argomento scelto, la pianura padana. Il suo maestro, Jules Sion (che era un Maestro davvero, uno dei più grandi geografi del Novecento) gli disse: «Devi andare in Sardegna, una terra così defilata che perfino io, che sto scrivendo un volume della ‘Géographie Universellè´ dedicato tutto all´Italia, non ci sono potuto andare». Le Lannou ubbidì. E forte di una (ricca) borsa di studio della Rockefeller Foundation, partì per la Sardegna.
Aveva, praticamente, un solo indirizzo, che per di più gli veniva per la via trasversale di un´altra sua grande passione, la musica classica. Un grande studioso sassarese, Gavino Alivia, apprezzato economista e pilastro della Banca Popolare di Sassari, aveva letto per caso una recensione di musica firmata da Le Lannou e gli aveva scritto. Era nata una intensa corrispondenza, in base alla quale - raccontava Le Lannou - chissà perché Alivia s´era fatto la convinzione che il suo «amico di penna» francese fosse un signore d´una certa età. Quando Le Lannou gli annunciò l´arrivo, Alivia lo mandò a prendere a Porto Torres con la sua macchina. Ma quando aprì la porta e si vide davanti gli sposini esclamò: «Mamma meia, dui piccinneddi!»
Da quel momento, Le Lannou cominciò a viaggiare per la Sardegna tornandoci di anno in anno sino al 1937: quando, avendo fotografato una «cosa» che secondo il controspionaggio italiano era un´opera militare da tenere segreta, fu arrestato e portato a Buoncammino. Erano tempi che fra l´Italia di Mussolini e la Francia del Fronte popolare c´era di mezzo la guerra civile spagnola. Questo prolungò l´arresto del giovane geografo (che del resto viaggiava in motocicletta, pantaloni alla zuava e berretto a quadretti: insomma, vestito come le spie che si vedevano nei film), fino a quando proprio il fatto di essere il borsista d´una potente istituzione statunitense fece intervenire l´ambasciata americana, e Le Lannou tornò in libertà.
Non senza un curioso siparietto: quando, al momento di lasciare Buoncammino, dovette pagare i pranzi che gli avevano portato in carcere da una trattoria vicina, non si trovò nella cassa del carcere il resto delle mille lire che il giovane professore aveva nel portafoglio. Buoncammino era allora abbastanza fuorimano: si dovette aspettare che una guardia tornasse dalla «città» perché il professorino se ne potesse andare.
Queste sue piccole avventure, così come alcune deliziose storielle sullo stupefacente senso dell´ospitalità dei sardi d´allora, Le Lannou le raccontò nei primi anni Settanta su questo stesso giornale, pregato e sollecitato da Stefano Del Re che curava allora la pagina culturale. Le Lannou non si fece pregare: non solo perché l´università di Sassari gli aveva conferito nel 1968 la laurea honoris causa, ma anche perché la Sardegna era ormai per lui, come diceva e scriveva spesso, la «mia terra d´adozione».
In quel momento Le Lannou era all´apice della carriera: da lungo tempo professore all´università di Lione, dove era tornato alla fine della guerra e della esperienza resistenziale, era stato chiamato al Collège de France, era stato nominato membro dell´Institut, la più prestigiosa accademia culturale francese, teneva la rubrica di geografia sull´autorevole «Le Monde», da cui seguiva anche quello che accadeva alla gente, al paesaggio e all´economia della Sardegna (gli articoli degli anni 1950-1971 sono riprodotti in appendice all´edizione italiana).
Quando uscì, Michelangelo Pira scrisse: «La cultura sarda e la cultura italiana, al di fuori delle cerchie specialistiche e spesso solo accademiche, dovrebbero vergognarsi per il ritardo con cui un testo così fondamentale è stato reso disponibile a una lettura generalizzata». Il fatto è che, sulla base del metodo della «géographie humaine», Le Lannou aveva ricapitolato non solo la geografia della Sardegna ma tutta la storia dell´isola: in particolare quella storia «rurale» di pastori e contadini che negli anni Trenta del Novecento ancora riassumeva l´intera vicenda isolana, dall´alto Medioevo in poi.
Quel metodo si faceva strada nel mondo delle scienze, soprattutto dopo che il gruppo redazionale delle famose «Annales» lo aveva fatto proprio e sponsorizzato come strumento essenziale alla costruzione di quella «storia totale» cui Marc Bloch e Lucien Febvre aspiravano.
Ogni pagina di Le Lannou portava uno stimolo, un´indicazione alla riflessione: quiin Sardegna un geografo accademico, seccato dell´ammirazione per Le Lannou, chiamò «tanto strombazzato» il suo libro.
Il fatto è che il libro portava uno sguardo nuovo nuovo sulla Sardegna, scrostava luoghi comuni accumulati anche per la neghittosità di studiosi contenti del loro orticello. Può darsi che non tutte le tesi di Le Lannou funzionino ancora. Certo è che se uno vi chiede che cosa si deve leggere per capire la Sardegna, uno dei quattro-cinque libri che gli si devono suggerire è questo.

Manlio Brigaglia



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