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I paradossi dell immortalità

Press review | La Nuova Sardegna | Tue, 31 May 2005
«Erostrati e astripeti». E´ il titolo inconsueto, tra l´ostico e lo stravagante, di un bel libro di Paolo Cherchi ora riproposto in un´edizione accresciuta e riveduta per i tipi de Il Maestrale. Ricordiamo di passaggio che, nella versione precedente, intitolata «Herostraticon. Medaglioni di astripeti ovvero dall´osco-umbro al logudorese» (Edes, 2002), l´opera si era aggiudicato qualche anno fa il Premio Dessì.
L´opera di Paolo Cherchi è di matrice culta, si forma dove il pluralismo dei linguaggi non è di tipo ingenuo o popolare, bensì dotto. Premettiamo pure che non può considerarsi «meticciato» il suo corredo genetico-stilistico, non si tratta di letteratura «postcoloniale» - come usa dirsi ai nostri giorni con eccessiva e talvolta compiaciuta semplificazione - non è Sardegna «creola». E´ viceversa compartecipazione ad una determinata e complessa civiltà linguistico-culturale, fondamentalmente occidentale, nel senso cioè di una «civiltà occidentale» che non viene percepita come cosa estranea o avventizia, elemento eterogeneo di acculturazione, acquisizione posticcia.
Detto ciò, passiamo a illustrare più da vicino questi «Erostrati e astripeti». Delucidando prima di tutto il titolo. «I medaglioni raccolti in questo volume - spiega l´autore - potrebbero tutti cadere sotto l´etichetta patologico-medico-esistenziale di erostratismo (termine che non è molto dissimile da astripetismo, ndr.)... Erostratismo è un vocabolo coniato salvo errore da don Miguel de Unamuno... Il senso di erostratismo risulterà chiaro se si ricorda che Unamuno lo coniò tenendo presente la vicenda del pastorello efesio Erostrato, il quale per sete di immortalità o almeno di posterità incendiò un famosissimo tempio di Diana».
Cherchi, in uno stile lepido, apparentemente futile e svagato oppure sofistico, traccia vari profili di erostrati e astripeti, convinti o inconsapevoli, illustri e meno illustri, perlopiù semi anonimi come si conviene a ogni buon erostrato che si rispetti, ma tutti dotati di un´interessante e peculiare soggettività.
Assistiamo così al ricco repertorio dei personaggi. A cominciare dallo strano caso del cosiddetto «amante ropalico», cioè l´amante dalla sessualità a dimensione ritmico-geometrica, uno spiritoso incrocio maniacale fra erotica e retorica. Proseguendo magari con il «poligrafismo meridionale» di un ingegnoso filologo dilettante, che riesce a svelare il misterioso motivo, solo apparente, per cui Dante non avrebbe mai menzionato la propria moglie Gemma nella Divina Commedia, dove pure è nominata in maniera criptica.
E seguitando poi con la leggenda della musa Euterpe, rapita e sequestrata dal Satiro sardo: una leggenda allegorica, che spiegherebbe come mai «la Sardegna sia veramente una terra abbandonata dalle muse» e perché «in quest´isola abbandonata dalle Muse si faccia tanta poesia». E, ancora, perché «tutta la poesia sarda sia patriottica», nella speranza che «forse nascerà un giorno il cantore capace di riconquistare le grazie delle altre otto Muse».
Durante questi sapidi ritratti, l´autore stila e introduce beffardi impromptus satirici: come quando racconta che «A un tiepido fascista che sosteneva che Mussolini aveva fatto un solo errore, e cioè non si era ritirato in tempo, ´No, caro lei´ disse il dottor Seghezzi, ´quell´errore l´ha commesso il padre´».
Altre volte rivela intuizioni degne di un grande scrittore, capace ad esempio di scoprire come, quanto e perché le donne siano diverse dagli uomini, e per quale arcano motivo soprattutto nelle file di questi ultimi si annoverino gli «erostrati». La spiegazione, semplice, è che le donne considerano la morte diversamente dagli uomini. «La donna - infatti - muore varie volte, specialmente quando perde la verginità e quando arriva la menopausa, perché sono cicli che si esauriscono, mentre l´uomo con la sua biologia lineare conosce soltanto una morte, e questo gli dà un desiderio di sopravvivenza che si manifesta nel desiderio di gloria».
Particolarmente accattivante e persuasivo appare lo stile letterario di Cherchi, per quel suo modulare tutte le note dell´erostratismo ipotetico o verisimile, col relativo corredo di effetti collaterali quali il narcisismo o il pigmalionismo. Uno stile sapiente e allo stesso tempo comunicativo, dove il manierismo, il concettismo, l´accademismo e l´erudizione si combinano felicemente in un amalgama che sa di genere carnevalesco bachtiniano, di intermezzo giocoso, di «diario minimo», col seguito indispensabile di tutte le strategie narrative proprie degli eteronomi, degli pseudonimi e degli apocrifi: un raffinato «pastiche», che mescola Rabelais, Quevedo, Gadda e Umberto Eco.

Leandro Muoni


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