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La scrittura contro la guerra

Press review | La Nuova Sardegna | Tue, 9 May 2006
Torino Murid Al Barghuti è uno dei maggiori scrittori e poeti di lingua araba, vissuto per trent´anni in esilio, amato e tradotto in undici paesi e dalle principali case editrici, come la Random House di New York. La Ilisso propone al pubblico italiano uno dei suoi romanzi, «Ho visto Ramallah» (177 pagine, 13,00 euro), inserito dalla casa editrice nuorese nella nuova collana «Scrittori del mondo». Il libro, una narrazione con molti risvolti autobiografici che reca una densa prefazione di Edward W. Said, uno dei più prestigiosi intellettuali arabi, è stato presentato alla Fiera del libro.
Al Barghuti è tornato per una visita in Palestina nel 1997, dopo tre decennii di esilio in Egitto. «Il ritorno in Palestina è stato per me un terremoto», ha detto parlando in uno degli incontri di «Lingua madre», la rassegna che la Fiera del libro dedica, ormai da tre anni, alle letterature meno conosciute: dall´Africa all´Asia, dal mondo arabo ai paesi dell´Est europeo.
- Al Barghuthi, si può parlare di letteratura araba come un insieme unitario?
«Ci sono una storia comune e una lingua comune. E c´è una tradizione letteraria comune. In ogni paese la gente legge moltissimo scrittori arabi che non sono della propria nazione».
- In tutto questo come entra la letteratura araba della diaspora, gli scrittori arabi che scrivono in inglese o in francese?
«Restano storia e tradizione letteraria comuni. Ma cambia la lingua. E non è, evidentemente, un problema da poco. Inoltre, questi scrittori subiscono i condizionamenti di un contesto sociale e culturale differente da quello arabo. Non sempre questo è un problema. Può essere anche un vantagio. Ma non è detto. Ci sono scrittori, come per esempio Tahar Ben Jelloun, che finiscono per raccontare il mondo arabo secondo le aspettative dell´Occidente. Da voi Ben Jelloun è diventato una star, ma gli arabi non lo leggono molto».
- I conflitti profondi che attraversano la realtà del mondo arabo che riflessi hanno sull´attività degli scrittori?
«La scrittura non deve inseguire l´ideologia o la politica. L´attività letteraria, nel mondo arabo, è varia e complessa, come in Occidente. Ci sono tutte le tematiche: la letteratura classica, gli orientamenti reazionari, le avanguardie, gli influssi religiosi e quelli politici. L´importante è che a prevalere sia il lavoro sulla lingua. Ci sono anche i condizionamenti che vengono dalla censura, ma molti scrittori li superano senza danni, perché i censori sono ignoranti e stupidi, e non si accorgono che la scrittura può avere effetti di rottura dell´ordine esistente indipendenti dai contenuti della narrazione».
- Nella sua narrativa prevale l´attenzione alla dimensione individuale, al lato meno pubblico, più riposto e privato delle singole esistenze...
«Sì è vero. Ci sono altri scrittori arabi, oggi, che hanno questo stesso tipo di approccio alla letteratura, ma quando io ho cominciato a scrivere non era così. Soprattutto nel contesto palestinese la maggior parte degli scrittori erano molto legati all´impegno politico. Una delle mie aspirazioni è parlare ai giovani. Ai giovani scrittori dico che la cosa veramente importante è scrivere bene. I contenuti non devono essere necessariamente politici per essere importanti. La descrizione della relazione tra due persone dice del nostro mondo altrettanto che un testo direttamente politico. Quando descrivo un istante nella vita di una persona so che dentro c´è un insieme d´istanti, tutto il passato e tutto il futuro. La resistenza all´occupazione israeliana non è l´unica forma di eroismo».
- Perché in Palestina la cultura laica, storicamente molto forte, s´indebolisce e invece cresce l´integralismo religioso?
«Uno dei motivi è la corruzione della classe dirigente palestinese. Per molti anni Al Fatah ha fatto bene. Oggi non è più così».
«Ha pesato però, anche, l´atteggiamento di chiusura di Israele.
«Ha pesato moltissimo. Ha fatto crescere l´integralismo e l´estremismo. E ha frenato lo sviluppo non solo economico ma anche civile della società palestinese. Con enormi conseguenze negative».
- Gli intellettuali laici palestinesi riescono a parlare ai ventenni, o ai giovani arriva solo Hamas?
«Il lavoro nel sociale di Hamas è rivolto soprattutto agli strati più poveri della società palestinese. Anche in Egitto e in Giordania è così. Ma si arriverà a un vicolo cieco nel rapporto tra Hamas e i giovani. Questi ultimi scopriranno che Hamas ha fini politici discutibili. Gli intellettuali in Palestina sono per in 90 per cento laici, parlano con i giovani. Il problema è che questo dialogo è continuamente interrotto dagli effetti negativi della politica israeliana: la guerra, l´instabilità, l´odio, le università che chiudono».
- I media occidentali come leggono la realtà araba e palestinese?
«Le società arabe sono differenziate, tra loro e al proprio interno. Questa varietà tende ad essere oscurata, in Palestina, dalla realtà dell´occupazione israeliana. I media occidentali stanno alla superficie. Prenda, ad esempio, il ritiro da Gaza. E´ tutto falso, voi giornalisti dovreste andare laggiù e vedere che ci sono 50 check-point, che là dentro non si muove foglia, né una donna può partorire, senza che Israele lo sappia».
- Che cosa pensa della politica dell´amministrazione Bush in Palestina?
«Da anni tutti questi signori sostengono di voler lavorare per la pace, ma non è vero niente. Tutti fanno solo i loro interessi e il futuro della Palestina non sta a cuore a nessuno. Certo la violenza della lotta armata palestinese è sbagliata, ma non si può chiedere di deporre le armi solo a una parte. Inoltre, alla Palestina tutti chiedono e richiedono buoni propositi e impegni, ma nessun fa altrettanto con Israele. Anzi gli Usa, per ben quattro volte, hanno chiesto all´Onu di non adottare risoluzioni contro Tel Aviv».


The book  
Murid Al-Barghuthi

Ho visto Ramallah


Nuoro, Ilisso
2005, pp. 184, Fiction
Euro 13,00
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