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Il terrorismo, le contraddizioni di una generazione

Press review | La Nuova Sardegna | Sat, 1 May 2004
Scoprirsi scrittori a cinquant´anni, perché si hanno ancora cose da dire nonostante una vita di militanza, «perché ci sono state non dico amarezze, ma coinvolgimenti mai completi». Gianni Marilotti confessa di essersi sentito anche lui come la protagonista del suo romanzo d´esordio, vincitore del Premio Calvino 2003, «La quattordicesima commensale», ora in libreria edito da Il Maestrale (412 pagine, 12 euro). Un protagonista distaccato nella scena politica isolana, un po´ meno in quella strettamente culturale, dove dirige dal 1990 l´associazione Mediterranea, impegnata a Cagliari nell´ambito della cooperazione e degli scambi internazionali. «Ma ad un certo punto mi sono accorto che il linguaggio analitico non era più efficace e che potevo esprimermi in modo diverso. Ho iniziato a scrivere per raccontare storie. E da allora non ho più smesso, perché quando scrivo storie sto bene». La storia, in «La quattordicesima commensale», è quella di una giovane donna barbaricina, Franca Bellisai, che vive da comprimaria a Torino la parabola discendente delle Brigate Rosse. Siamo nel 1982. Nella disfatta diventa, suo malgrado, una protagonista, riuscendo a fuggire in Francia con i soldi dell´organizzazione da destinare ai compagni. A Parigi assiste al disfacimento morale di chi avrebbe dovuto rilanciare la lotta armata e scopre una dimensione privata di studio e lavoro. Si impegna nella cooperazione internazionale, vive in Africa e poi in Bosnia. Dopo dieci anni, consapevole di non avere conti in sospeso con la giustizia, decide di tornare in Sardegna. Ma sarà un colpo di scena a modificare gli eventi, e per lei non ci sarà una seconda possibilità di rifarsi una vita. - Con i dovuti distinguo, la vicenda di Franca Bellisai ricorda per alcuni aspetti quella di Adriano Sofri... «È vero. L´analogia non è ricercata, è emersa mentre scrivevo. Anche lei alla fine finisce nella ex Jugoslavia ad aiutare i profughi. La differenza è che il mio personaggio ha vissuto la sua militanza all´interno dell´illegalità, mentre Sofri ne è stato ai limiti e non mi risulta che li abbia attraversati. È stato risucchiato dal caso Calabresi così come Franca Bellisai è rimasta coinvolta in delitto commesso da altri. Entrambi impigliati nelle brume di un altro passato, hanno pagato e pagano per colpe antiche che non sono loro». - Infatti Franca Bellisai soccombe perché torna in Sardegna, non perché ex terrorista. L´isola uccide più della lotta armata? «L´isola appare effettivamente come una matrigna. Una prigione, una cappa, una terra maledetta perché continua a non fare i conti con i suoi problemi atavici. Questa è l´immagine della Sardegna che ho sotto gli occhi. Ma non significa che non abbia speranza». - Anche a Franca, come a certi personaggi di Atzeni, la comunità non perdona il fatto di aver lasciato l´isola e di avere avuto «successo». Chi parte è perduto? «Sì, chi parte non ha il diritto al ritorno. Perché si torna diversi e sostanzialmente estranei. E l´estraneità è pericolosa per la comunità. Atzeni, in questo, se non altro inconsciamente, mi ha condizionato». - Insieme a lui quali altri autori? «È sempre difficile dirlo, ma ci provo. Elsa Morante de ´La storia´. Poi Pirandello, Ammanniti, Lucarelli, Chatwin. Ma le mie letture sono senza metodo». - Cos´è stato il terrorismo per la nostra isola? «L´ennesimo prodotto imposto dall´esterno. Molti giovani che hanno abbracciato la lotta armata avevano motivazioni serie ed una formazione solida, altri erano del tutto inadeguati. Ma anche le intelligenze più straordinarie si perdono quando pretendono di seguire uno schema vecchio, inadatto ad interpretare una realtà in mutamento». - E alla fine le colpe si pagano sempre? «Non saprei. Parto da una prospettiva soggettiva e dico che Franca Bellisai non poteva non pagare fino in fondo una vita fatta di ambiguità, nell´estremo tentativo di rendere verosimile l´improbabile. Vero è che i terroristi hanno pagato, la politica italiana no». - Moro scrisse alla Dc: «Il mio sangue ricadrà su di voi»... «Non è stato così. Il suo sangue è ricaduto sui terroristi, non su Cossiga o Andreotti». - Come spiegherebbe ad un giovane il fenomeno del terrorismo? «È stato un fenomeno sociale diffuso, quasi di massa. L´eccessiva fretta di cambiare la società da parte di una generazione e la reazione da parte del potere che ha assecondato le spinte eversive sono stati i due fattori cardine. E in mezzo, le fascinazioni perverse, l´ipertrofia del proprio ego, i cattivi maestri che hanno utilizzato il loro potere sui più giovani». - Lei dov´era in quegli anni? «Io dal 1971 al 1982 ho militato nel Movimento dei Lavoratori per il Socialismo, quello di Capanna per intenderci. È stato un decennio di attività politica folle e frenetica, che non rinnego affatto. Ci sono stati eccessi, errori e superficialità, ma anche tanta passione e dedizione totale. Ho vissuto due anni a Nuoro da agitatore politico, poi le vicende del delitto Moro sono state devastanti per tutto il Movimento. Perché la deriva eversiva non ci lasciava tranquilli. Così sono tornato al privato. Mi sono laureato, ho iniziato a insegnare». - E cosa sanno i giovani di quegli anni? «Anche se i progetti scolastici non lo affrontano, più che dal terrorismo i giovani sono interessati dal 1968, che spesso è raccontato in modo ambiguo. C´è chi lo ha rimosso, chi è ipercritico, chi ha visto in esso le premesse del terrorismo. In realtà, il 1968 è stato un movimento spinto verso la deriva armata. Io vedo analogie con l´attuale movimento mondiale, con la differenza che oggi la non violenza è il metodo più seguito. Allora non era così». - Dopo Marcello Fois e Flavio Soriga, lei è il terzo isolano a vincere questo prestigioso premio. Ma esiste veramente una sorta di «rinascimento sardo»? «Non so se esista, ma è indubbio che la società sarda, a tutti i livelli, e non solo per quanto riguarda autori o registi, sta crescendo nel suo complesso. Anche Cagliari, ad esempio, viene sempre rappresentata come una città di destra. In realtà, a Cagliari la cultura è di sinistra. La destra si è appropriata dei grandi eventi, ma nella complessità delle sue associazioni la città ha un´anima progressista». - Cos´è allora che non torna? «Che Cagliari è da troppi anni nelle mani dello stesso gruppo dirigente trasversale agli schieramenti, che non rappresenta più la società. Abbiamo bisogno di un nostro Bassolino». - Altri libri in programma? «Due romanzi sono già pronti. Il primo racconta una storia di immigrazione, il secondo è un apologo sui paesi che si spopolano». Ma ora è il momento della «Quattordicesima commensale», che sarà presentato questo pomeriggio a partire dalle 17.30 nell´aula magna del liceo Dettori di Cagliari.

Vito Biolchini



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