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I sardi nella letteratura di viaggio tra pregiudizi e falsità

Press review | La Nuova Sardegna | Sun, 4 March 2007
Venire in Sardegna e innamorarsene, è facile. Ma mettersi a studiarla, e a studiarla attentamente, per conoscerla il meglio che è possibile fa titolo di merito. Soprattutto se si è caricati di un bel pezzo di responsabilità in ordine alla direzione che possono prendere le cose di cui si è chiamati ad occuparsi. Così ha fatto Salvatore Gullotta Di Mauro, siciliano, da quarant´anni in Sardegna, ora prefetto a Sassari dopo molti anni passati nella prefettura di Nuoro. Gullotta ci aveva già dato cinque anni fa un romanzo, «Monti di pietra», che per essere immaginato proprio a Nuoro e ordito intorno a vicende anche sociali di quelle parti non poteva nascondere, dietro l´invenzione della trama e dei personaggi, un´esperienza ben penetrata dell´ambiente reale. Ora, con questo «Terre e genti di Sardegna nella letteratura geografico-politica dell´Ottocento», edito da Carlo Delfino (286 pagine, 22 euri), mette le carte sul tavolo e ci fornisce la sua interpretazione della storia sarda degli ultimi due secoli: dico due secoli perché, a pensarci bene (e Gullotta ci ha pensato bene), le cose che succedono nell´Ottocento riverberano i loro effetti sulla Sardegna del Novecento. Queste ´cose´ ruotano soprattutto intorno alla terra, il duro spazio disputato da contadini e pastori, ma emerso attraverso i secoli come lo scenario in cui si vengono formando le istituzioni comunitarie e insieme il ´pacchetto´ di valori e di regole: quelle che Gullotta chiama ´sa cussenzia´, vocabolo che ho visto raramente usato nella storiografia-antropologia della Sardegna, ma che rende ben conto di quel profondo senso della vita, che è soprattutto un profondo senso di giustizia. La terra e gli uomini, i due termini del libro: la terra, e gli uomini che ci stanno sopra. Gullotta ricapitola come i sardi e i loro problemi furono visti dai ´viaggiatori´ dell´Ottocento. Le pagine hanno larghe citazioni di questi visitatori incuriositi, acuti e spesso prevenuti: ma Gullotta ha una sua idea precisa di come sono andate le cose, e invece che costruire il libro come una semplice antologia di impressioni forestiere, usa l´approccio (´variegato´, si dice oggi) di scrittori che vanno dal Lamarmora a Virgilio Lilli (che pure venne in Sardegna dentro il Novecento) per argomentare meglio la propria tesi. Che si può articolare in alcune affermazioni sostanziali: la prima è che, messi tutti insieme, questi visitatori mostrano una grande avversione per le strutture comunitarie e per gli stessi sardi (o, meglio, una parte di loro: quella dei pastori, qualificati ´barbari´ e ´incivili´), senza alcuno sforzo di approfondimento di una conoscenza che, insomma, troppe volte rischia di restare superficiale e ripetitiva; la seconda è che in questi viaggiatori (dietro i quali c´erano però uno Stato e una opinione pubblica che era spesso anche una intenzione politica) un´insistente preoccupazione per l´agricoltura, immaginata come l´unica forma di sfruttamento della terra capace di produrre reddito e modernità e insieme descritta come la vittima dell´attività pastorale, del largo errare delle greggi transumanti, dell´aggressività d´un mondo continuamente affamato di spazio e di erba. La lotta tra pastori e contadini, che questi viaggiatori mettono al centro del loro punto di vista, è soltanto - dice Gullotta - una concausa della violenza che domina nelle campagne sarde dell´Ottocento e che lascia al secolo succesivo una così dolorosa eredità criminale. Questa incomprensione sostanziale, non solo da parte dei viaggiatori ma soprattutto da parte dello Stato e delle sue burocrazie, di ´come stanno veramente le cose´ in Sardegna spiega, per Gullotta, il fallimento di tanti tentativi riformistici: primo fra tutti gli esperimenti sbagliati è la privatizzazione delle terre, conseguita al famoso Editto delle chiudende e aggravata dall´abolizione degli ademprivi (ma peraltro già anticipata in diverse comunità), che tende a rovesciare del tutto la situazione preesistente invece che modificarla conservando quanto di buono, soprattutto sul piano della solidarietà la società precedente aveva prodotto (Gullotta richiama qui usanze secolari come la ´ponitura´ attraverso cui si ricomponeva al pastore sfortunato il gregge perduto). Dal sistema comunitario alle leggi ´moderne´ si opera una rottura devastatrice. La sostituzione per legge - e calata tutta dall´esterno - del sistema collettivista con uno sfrenato individualimo d´impresa e di vita genera lo sconvoglimento d´un equilibrio che era sempre stato difficile, ma che la formazione (spesso violenta) della cosiddetta ´proprietà perfetta´ mette definitivamente in crisi. Presentata da Giuseppe Pisano, questa lucida sintesi si avvale anche - come scrive Antonello Mattone nella premessa - di una ´scrittura piana e accattivante´, nella quale emerge - dice ancora Mattone - ´la mano del romanziere´: che stavolta però ha mostrato di saper raccontare le vicende d´una terra ´istranza´ come fosse la propria, e di vederci dentro con l´occhio dello storico.

(Manlio Brigaglia)

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