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Un ponte tra mondi lontani

Rassigna de imprenta | La Nuova Sardegna | Mer, 3 Santandria 2004
È con piacere e gratitudine che accogliamo l´ultima iniziativa delle edizioni Il Maestrale di Nuoro, la ristampa del romanzo «Texaco» del martinicano Patrick Chamoiseau, nella sontuosa traduzione di Sergio Atzeni. Con piacere, perché nelle paludi della superficialità cui sembra autorelegarsi certa produzione narrativa contemporanea l´affresco caraibico di Chamoiseau ci garantisce che esistono ancora scrittori affabulatori, capaci di ricreare e tramandare in campiture epiche l´immaginario collettivo. Con gratitudine perché l´edizione Einaudi della traduzione italiana (1994), da tempo non più reperibile, aveva goduto di pochissima circolazione: una dimostrazione della fretta e della noncuranza della grande editoria commerciale, spinta alla ricerca di effimeri successi mass-mediatici e insieme indifferente nei confronti di produzioni difficilmente incasellabili entro i flussi di tendenza del mercato letterario. Patrick Chamoiseau (1953) è una delle voci più innovative del ricco e vivace patrimonio culturale antillano, e della francofonia tout court. Insieme a Jean Bernabé e Raphaël Confiant ha firmato il fondamentale «Eloge de la creolité» (1989), manifesto di poetica che, superando la fase della negritudine rappresentata da Aimé Césaire, apre la definizione dell´identità caraibica ai concetti di opacità, caos, incontro tra culture. E speriamo ora che qualche editore lungimirante renda fruibile in italiano anche il più recente «Ecrire en pays dominé» (1997). «Texaco» (1992) - terzo romanzo dopo «Cronaca delle sette miserie» (1986) e «Solibo magnifique» (1988) - è la sua opera di maggior successo, quella che lo portò alla ribalta della scena letteraria grazie al riconoscimento del prestigioso Prix Goncourt. Il romanzo è costruito come un lungo racconto narrato da una vecchia creola, la donna-matador Marie-Sophie Laborieux, a un giovane urbanista, giunto a Texaco, baraccopoli della periferia di Fort-de-France, per avviare un risanamento edilizio che prefigura in realtà la distruzione di quanto gli uomini lì rifugiatisi hanno costruito. Con la forza del racconto, la donna cerca di rendere l´urbanista (e il lettore) partecipe della memoria del quartiere e convincerlo a fermare i lavori. Raccontando la conquista dell´Incittà (En-ville: con un espressione di moto a luogo è detta la città creola da chi è originario delle campagne), Marie-Sophie rievoca la sua vita e quella delle generazioni che l´hanno preceduta. Dove non arriva il ricordo subentra la leggenda, che è «memoria più grande della memoria», fino alla delineazione di un´epopea i cui eroi sono gli schiavi, che hanno lottato prima per ottenere l´emancipazione dalla schiavitù, poi per il diritto a resistere contro l´erosione delle differenze che incombe sulla società di fine millennio. «La scomparsa dei nostri Mentor» ricorda Marie-Sophie «rivelava la dominazione del nostro spirito secondo forme nuove misconosciute alla resistenza tradizionale. Popoli non più minacciati dallo stivale, dalla spada, dal fucile, o dalla dominazione bancaria dell´Essere occidentale, ma dall´erosione delle differenze del loro genio, dei loro gusti, delle loro emozioni, del loro immaginario». La donna-matador affida talvolta le fila del racconto a una folla di altre voci, in un coro in cui nessuno è protagonista unico. La parola chiave per capire questa forte identità collettiva è il creolo noutéka, «una sorta di noi magico» intraducibile alla lettera, ma che comunica la percezione di un destino comune, di una forza che anima la comunità nella lotta per la sopravvivenza e la dignità. Si tratta, è bene ricordarlo, di una stirpe che non può vantare alcuna purezza di sangue o superbia delle origini, perché nasce con l´inizio della tratta degli schiavi e cresce grazie ai continui incroci tra le popolazioni che hanno tentato la sorte nel Nuovo Mondo, dando luogo a nuovi aggregati interetnici. I valori espressi dalla società caraibica raccontata da Chamoiseau (il meticciato come arricchimento, la difesa dell´identità dei popoli periferici, il diritto al mantenimento della diversità) si rispecchiano nelle scelte operate sul piano espressivo, che rientrano in quella che è stata definita da Édouard Glissant (a cui il romanzo è dedicato) la «poetica della relazione», mirante a superare la visione tradizionalmente eurocentrica della letteratura come luogo della comprensione dell´altro. Glissant rintraccia all´interno dello stesso termine com-prendere il campo semantico del possesso, della riduzione della diversità a schemi universali, e contro le nozioni di trasparenza e comprensione rivendica invece alla letteratura e ai rapporti fra gli uomini il mantenimento di un residuo di incomprensione e opacità. Solo accettando l´opacità programmatica del romanzo e le difficoltà di decifrazione il lettore può trovare la strada in «Texaco». Chamoiseau mantiene infatti una forte dimensione creola nel testo, facendo ricorso in piena libertà a inusitate scelte lessicali, formule, proverbi, immagini, strutture sintattiche legate al parlato creolo della Martinica. Il tutto, amalgamato da una personalissima tensione ritmica e musicale, priva di cedimenti. Come tradurre un´opera del livello di «Texaco»? Come trasportarla in un´altra lingua, tradendola solo quel tanto necessario per renderla fruibile a un altro immaginario, ad altri lettori? La scelta italiana è stata particolarmente fortunata. Nel 1993, Sergio Atzeni aveva all´attivo l´«Apologo del giudice bandito» e «Il figlio di Bakunìn» (e in cantiere «Il quinto passo è l´addio»), ed era già stato apprezzato traduttore di Stendhal, Lévi-Strauss, Sartre e Genette. La proposta di misurarsi con un romanzo di ampio respiro e mistilingue quale «Texaco» costituisce per lui la grande sfida che da tanto aspettava. Si immerge per mesi nell´impasto intraducibile del testo, e quando anche i dizionari alzano bandiera bianca, cerca soccorso nell´invenzione per affinità, per intuito, per scommessa. Il risultato è una traduzione che recensori competenti non hanno esitato a definire «impeccabile» (M. A. Saracino) e «sontuosa» (S. Coyaud). L´incontro con Chamoiseau ha rappresentato per Atzeni un fondamentale momento di maturazione stilistica e ideologica. In una conferenza tenuta nel 1995 a Verona, lo scrittore dichiarava: «Chamoiseau, se me lo dessero da tradurre, in qualunque condizione lo prenderei, perché è un´esperienza vera di vita; è come quel musicista a cui diano da suonare una grandissima musica: è felice di farlo, anche se lui abitualmente suona le proprie sonate, la propria musica, però quando suona la musica di un grande maestro è una soddisfazione. L´idea stessa di riuscire a suonarla senza tradirla, cioè mantenendola, rispettandola, è stimolante». Da parte sua, il martinicano ha ricambiato ricordando l´Atzeni traduttore come un «berger de la diversité», «pastore della diversità», al quale non doveva spiegare la sua poetica perché, per formazione culturale e intenti narrativi, egli «la conosceva già». Ed è proprio seguendo i consigli di Atzeni che egli ha acconsentito ad accompagnare il testo italiano di un prezioso glossarietto di creolo, non presente nell´originale, per fornire ulteriori appigli per la comprensione al lettore italiano, il quale, leggendo in traduzione, perde il soccorso fornito dalla somiglianza fonica tra creolo e francese. Chiunque si addentrerà nell´universo narrativo di Chamoiseau riconoscerà le affinità elettive tra il sardo e il martinicano, particolarmente evidenti nella giustapposizione di «Texaco» e «Passavamo sulla terra leggeri»: le lotte per l´indipendenza di comunità periferiche; i racconti di fondazione di stirpi che vivono e si fortificano grazie agli «innesti» esterni; la Storia frantumata e reinventata in storie minori, solo apparentemente marginali; la diversità delle etnie e, all´interno di queste, l´infinita differenziazione delle storie personali, delle indoli, dei caratteri; il ruolo dei destinatari, conservatori della memoria collettiva; le cadenze e l´atmosfera dell´oralità; una lingua impura, sporca, meticcia; l´attenzione primaria al suono della parola, al ritmo della frase, alla musicalità dell´insieme. Geograficamente lontani, ma gemelli nell´espressione delle ansie generate nelle periferie culturali dalle pressioni omologatrici di fine millennio, i due romanzi figurerebbero degnamente nel «vasto tessuto della letteratura» così come esso viene descritto, in «Texaco», nel dialogo tra l´intellettuale haitiano Ti-Cirique e Marie-Sophie Laborieux: «un clamore uno e molteplice, che riunisce le lingue del mondo, i popoli, le vite. Mi spiegò come certi libri irradino oltre la propria epoca, suscitando slanci dello spirito. Nella cultura dei popoli c´è l´ombra e la luce, mi spiegò in risposta alla mia voglia di conoscere la Francia. La letteratura (le arti in genere) trova il proprio completamento nel lato luminoso, perché vibra sempre oltre la realtà stessa del popolo che la emana».

Gigliola Sulis

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